Cos’è la fibromialgia? Raccontare storie di guarigione da malattie anche definite incurabili dalla medicina tradizionale ci permette non soltanto di capire che c’è una via d’uscita, ma anche di conoscere qualcosa di ignoto che può spaventare.
Oggi ospito sul mio blog Arianna Monaldi, Life Coach Luise Hay di Rimini, un’amica che ha deciso di portare attraverso un articolo la sua personale esperienza nel convivere con la madre malata di fibromialgia
Dopo tanti anni Arianna ha capito quanto sia importante l’amore verso sé stessi e verso gli altri, al punto che ha deciso di diventare Life Coach per aiutare le persone a condurre la propria vita nel modo migliore possibile, operando i cambiamenti necessari per crescere.
Nella sua testimonianza emergono i sentimenti, le emozioni, i pensieri e le incomprensioni tipiche di coloro che si trovano a convivere con una persona ammalata. Nello stesso tempo emerge tanto amore e tanta volontà di capire nel profondo la malattia, per cercare di superarla insieme.
Come è iniziata la vostra convivenza con la fibromialgia?
La nostra Odissea inizia nel 1998: avevo solo 8 anni e fino a quel momento la mia vita era trascorsa come una favola. Nei miei sogni da bambina niente e nessuno avrebbe mai potuto abbattere o scalfire la mamma.
Ho ricordi bellissimi della mia infanzia con lei, anche se il lavoro me la portava via per tutto il giorno la sera ce l’avevo tutta per me. Mi sembrava non fosse mai stanca e avesse sempre tanta energia per tutti. Ricordo che guardavo sempre l’orologio e non vedevo l’ora che tornasse a prendermi e mi portasse a casa dopo il lavoro. La riempivo di chiacchiere (poverina) raccontandole, come solo i bambini sanno fare, ogni piccolo dettaglio della mia giornata (lo faccio tutt’ora).
Se un giorno avrò dei bambini spero di poter essere per loro una mamma come quella che ho io.
Il 1998 ha cambiato la nostra vita: probabilmente senza l’inizio della fibromialgia della mamma non sarei dove sono ora e forse nemmeno lei. La malattia ci ha donato una consapevolezza maggiore di quanto la vita possa essere bella nonostante la sofferenza.
Ci ho messo tanto a capire cos’è la fibromialgia, ho rimosso molti ricordi dolorosi. In effetti ricordo poco dell’inizio della malattia della mamma; è come se avessi fatto scendere un vetro scuro su quelle giornate perché troppo dolorose.
Una cosa me la ricordo: amavo sedermi sulle ginocchia della mamma, erano soffici e faceva sempre caldo in braccio a lei. Quando avevo mal di pancia la mamma mi faceva sedere sulle sue gambe e mettendo le nostre pance attaccate mi diceva di passarle il male così l’avrebbe preso lei e a me sarebbe sparito. FUNZIONAVA !
Le ginocchia erano il mio posto preferito.
Poco tempo fa una parente mi ha detto che ero una bambina proprio “bastarda” per volermi sedere sulle gambe della mamma quando lei aveva male ai muscoli. Questo mi ha fatto pensare di averle provocato del dolore sedendomi su di lei. A me piaceva, volevo solo le coccole della mia mamma, e non avrei mai voluto farle del male. Ancora ripensandoci oggi mi scendono le lacrime e il cuore mi batte forte.
Perché hai deciso di scrivere questo articolo?
Ho deciso di scrivere questo articolo perché so quanto è faticoso e doloroso stare accanto a chi ha questa malattia, e voglio portare la mia testimonianza in merito.
La fibromialgia divora chi ce l’ha e chi gli sta attorno se non sono sufficientemente preparati, ma in fondo come ci si prepara a qualcosa del genere? Come ci si prepara a vedere chi si ama soffrire di un male che non si vede?
Come si può credere a una febbre che il termometro non registra?
Come si possono guardare occhi pieni di dolore senza provare rabbia per la situazione?
Come si può accettare il fatto che la medicina tradizionale definisca la fibromialgia incurabile?
Come si può vedere una persona che prima era piena di energia non riuscire ad alzare le braccia e non riuscire a muovere senza un dolore immenso il suo corpo?
Ho trovato dopo anni di calvario una sola risposta: AMORE.
Come hai vissuto la malattia di tua madre?
Ho provato più o meno una decina di sentimenti nel corso della malattia di mia mamma, dall’odio per la situazione alla rabbia verso la mia famiglia, dalla frustrazione all’accettazione.
Ho passato pomeriggi e notti a piangere e pregare che quella malattia si trasferisse a qualcuno di cattivo e lasciasse in pace la mia mamma restituendomela com’era prima del 1998. Alcuni giorni ero arrabbiata anche con lei: come poteva avere qualcosa che i medici non sapevano come curare? Come poteva sentire la febbre se non l’aveva?
Pensavo spesso a come fosse possibile non vedere la malattia e pensavo l’avesse solo la mia mamma: i fibromialgici sono un numero immenso ma dimenticato. Quando mia madre alla mia richiesta “come ti senti?” mi diceva “mi sembra di avere 10 cani che mi mordono in tutto il corpo” oppure “mi sembra di avere un coltello infilzato nella schiena” mi sembravano esagerazioni e faticavo a capire come nonostante ciò si sforzasse di ridere e condurre una vita normale.
Mia madre non ha mai smesso di lavorare e di occuparsi di me nonostante cani e coltelli. Come ha fatto? Credo la risposta sia sempre AMORE.
Cosa occorre per stare a fianco di un fibromialgico?
Serve un coraggio infinito perché la fibromialgia fa sentire soli. Sembra che chi ne soffre viva in un mondo ovattato isolato dal resto delle persone, come se fosse avvolto da una membrana di dolore e male lacerante che è difficile penetrare.
Per chi sta fuori dalla membrana è complicato comprendere. Ho gridato tanto, forse perché con la mia rabbia speravo di poter rompere quella membrana e di poter essere di nuovo libera. Ho gridato tanto perché non comprendevo, solo stando in silenzio si può comprendere; ascoltavo la sua voce ma non il suo cuore e a volte la sua voce mi dava fastidio perché io quel dolore non lo volevo sentire.
Non volevo mi riguardasse eppure mi tagliava l’anima come fa il freddo con le mani nelle giornate invernali. Ogni sussurro era un taglio.
Com’è stato essere al suo fianco? Quali erano i tuoi pensieri e le tue sensazioni?
All’età di circa undici anni ho trovato un nuovo modo per proteggermi: per sopravvivere a quel dolore davo la colpa della malattia di mia mamma a qualcun altro. Avevo bisogno di dare la colpa a qualcuno.
Con gli strumenti che avevo pensavo fosse l’unica via di uscita. Mi faceva rabbia che la mamma fosse sempre calma e non se la prendesse con gli altri; dopotutto, pensavo, i parenti la stressano, la caricano di ogni loro preoccupazione e fanno sì che sia lei a doversi occupare di tutti.
Non comprendevo all’epoca che la responsabilità non era degli altri ma di mia madre; non abbiamo alcun controllo sugli altri ma sul nostro modo di rapportarci a loro e di interagire sì.
Abbiamo noi il controllo sulla nostra zona di potere, ma questo a 11 anni io non lo sapevo.
Iniziai ad odiare tutto e tutti. Mi sembrava tutto inutile e pieno di sofferenza; il sole era sparito dalla mia vita e il grigio aveva preso il suo posto. In tutto vedevo cani feroci (adoro i cani, passatemi questa metafora perché rende visivamente l’idea di cosa sia la fibromialgia) e coltelli.
Ero sola, anche la mamma mi sembrava lontana. Così piano piano le membrane di dolore si ispessivano e ci isolavano. Mi sentivo da sola contro tutti e con la responsabilità di salvare mia mamma. Era troppo per i miei 11 anni. La mia strategia divenne feroce e semplice: prendermela con tutti per qualunque cosa.
Avevo dentro così tanta rabbia che volevo solo vomitarla sugli altri, in fondo loro non facevano nulla dal mio punto di vista, nessuno pareva accorgersi di quanto la mamma stesse male: le loro vite, mi sembrava, continuassero normali. E la nostra? Perché la nostra no?
Alla fibromialgia si accompagnava l’allergia al nichel che costringeva la mamma ad indossare guanti di cotone ed a mettere lo scotch su tutte le maniglie di metallo per non entrarci in contatto.
Oggi ho 25 anni e ancora mi capita di guardare le maniglie facendomi tornare alla mente lo scotch. Le forchette diventarono di plastica e le pentole di vetro. Tutto ciò che conteneva nichel divenne nemico e lo è tutt’ora.
Quanto ancora avrei dovuto sopportare? Perché la mamma non stava meglio? Perché nessun medico aveva le risposte che cercavamo?
RABBIA RABBIA TANTA RABBIA.
Così è stata la mia adolescenza. Mio padre non so cosa pensi o provi in merito alla malattia della mamma. Ci guarda spesso come se fossimo aliene. Io credo sia arrabbiato anche lui o forse ancora incredulo. Non parla mai di questo.
Sono stata arrabbiata anche con lui per tanto tempo poi ho compreso che ognuno nella vita fa il meglio che può con gli strumenti che ha. Anche perché la rabbia che provavo divorava me prima di arrivare agli altri.
Ricordo che la mamma non si stancava mai di cercare su internet e sui libri le risposte che non le arrivavano dai medici. E lo fa ancora.
Oggi trovo ciò adorabile ma all’epoca della mia adolescenza mi mandava in bestia!
Mi domandavo perché non la smettesse e non accettasse quello che le dicevano, almeno ci saremmo messe l’anima in pace.
Questa era la prima parte dell’intervista, ti è piaciuta? Condividila con i tuoi contatti e per leggere la seconda parte, clicca qui!
Iscriviti subito alla mia newsletter per non perderti i futuri aggiornamenti!
Sono anch’io malata di Fibromialgia , ho letto la testimonianza di Arianna e mi ritrovo in tanti passaggi , perché , purtroppo, anche la mia mamma soffriva di Fibromialgia e depressioni ricorrenti e profonde.
Condivido pienamente i suoi racconti e i suoi modi di agire nei confronti della mamma e della malattia.
Complimenti per le testimonianze.
Grazie di cuore Monica. Preziosa la tua testimonianza, per me e per chi leggerà