Negli ultimi otto mesi ho avuto la possibilità di incontrare numerose persone vivendo a Bali, moltissime con il mio stesso stile e la mia stessa filosofia di vita; confrontarmi con loro mi ha permesso di crescere molto e di trovare numerosi spunti per vivere la vita da Nomade Digitale al meglio.

Oggi sono molto orgogliosa di presentarvi Jonathan Pochini e di raccontarvi, attraverso questa intervista, il dietro le quinte della vita di un Nomad Worker a dir poco speciale.

Ciao Jonathan,

che piacere averti nel mio blog!!

Ti confesso che è davvero tanto tempo che ti seguo nel gruppo dei Nomadi Digitali su Facebook e mi è capitato spesso di leggere dei tuoi post prendendo spunto e applicando i tuoi suggerimenti al mio business online.

Grazie!

Quest’anno, per una serie di incastri perfetti, siamo riusciti a conoscerci di persona, una sera a Ubud e, da lì a poco, abbiamo deciso di intervistarci a vicenda.

La mia intervista la trovi già pubblicata, clicca qui per leggerla!

numero unoDai partiamo subito… Raccontaci un po’ di te!

Sono cresciuto nel Nord Est da famiglia toscana… e già questo contribuisce un po’ a non farmi sentire “di nessun posto”.

Non sono né ateniese, né greco, ma un cittadino del mondo.
cit. Socrate

Ho ormai superato i 40… ma non nel mio cuore! 😉
Come lessi infatti una volta da qualche parte nella mia Bondi Beach (Sydney, Australia): “ognuno ha l’età che gli dice il suo cuore”.

In questo momento ti scrivo da El Hierro, la più piccola (e meno raggiungibile) delle Isole Canarie. Anche se è la terza volta che vengo a El Hierro non posso certo dire di vivere qui: nell’ultimo periodo ho infatti felicemente soggiornato (per periodi di almeno un mese) anche:

  • a Las Palmas de Gran Canaria,
  • in Sicilia
  • nel Casentino,
  • a Carrara (where family is),
  • in Thailandia,
  • a Bali,
  • e nel Borneo malese.

Posso permettermi questi spostamenti in quanto Nomad Worker, condizione esistenziale che coniuga, almeno nel mio caso, la possibilità di lavorare su internet con la libera professione (freelance).

Faccio il “nomade” dal 2013, da quando ho lasciato l’Australia per sperimentare uno stile di vita nomade un po’ più itinerante. Ma non ho viaggiato troppo in verità: ho “vissuto” in Thailandia (a Chiang Mai, più qualche isoletta), sono stato a Bali, in Italia… ma diciamo che ho fatto base soprattutto alle Isole Canarie (Fuerteventura, Gran Canaria, un pochino Tenerife… e El Hierro).

jonathan-bali

numero dueQuando hai deciso che l’Italia non era il posto in cui volevi vivere, dove ti sei trasferito la prima volta? E quel viaggio cosa ti ha permesso di scoprire? Fin dove ti ha portato?

Nel 2009 🙂

Il 2009 è stato l’anno in cui mi sono fatto il regalo più bello della mia vita: ho rinunciato ad un contratto a tempo indeterminato per andare in Australia a farmi un corso di inglese di 12 settimane.

Per 3 mesi mi sono concentrato esclusivamente sul migliorare il mio inglese.
Niente lavoro, solo studio, solo investimento su me stesso.

Alla fine di quelle 12 settimane… o avrei trovato un lavoro oppure sarei dovuto tornare indietro (e non ne avevo proprio voglia). Con un trucco degno di un bravo esperto di Web Marketing (racconto la mia storia in un vecchio articolo che dovrei proprio rinfrescare) riesco a trovare un ingaggio con una web agency di Sydney. 

Ma non era un contratto full-time come auspicavo.

Molto meglio!

Era un ingaggio da contractor: in altre parole quando c’era lavoro mi chiamavano, quando non c’era rimanevo a casa.

Capii molto presto, appena rimasi a casa senza lavoro, che avrei dovuto trovare altri clienti… e così è stato: ho trovato altri clienti online, a distanza.

Poi il lavoro in agenzia è ripreso e quindi spesso avevo sia il lavoro in agenzia che il lavoro con i miei clienti.

Questo mi ha dato modo di crearmi la mia solida base di clienti online mentre avevo un’entrata un po’ più stabile.

Per farla breve, nel giro di 4 anni, il lavoro dall’agenzia è andato sempre più calando, mentre il lavoro dai miei clienti online è andato sempre più aumentando.

All’inizio del 2013 lavoravo praticamente da casa vivendo in una delle città più care al mondo. Era il momento di prendere il volo e sperimentare lo stile di vita nomade digitale.

Ma anche se apparentemente questo passaggio alla vita nomade digitale è quello più interessante, la vera svolta è stata in realtà proprio quella di partire e rifarmi una vita in Australia!

È stata “l’Australia” che mi ha aperto le porte al mercato internazionale (migliorando il mio inglese).

È stata “l’Australia” che mi ha fatto capire, gradualmente, che sarei stato in grado di fare il freelance!

copertina-gruppo-facebook

numero treQuali sono i tuoi valori più importanti?

Certamente la Libertà. 

Libertà di potermi muovere e di poter lavorare da dove mi pare (ce l’abbiamo).
Ma anche la libertà di scegliere o rifiutare i propri clienti (ce l’abbiamo), cosa che non puoi fare se lavori per un’agenzia e se non sei il capo di te stesso.

Poi la libertà di poter lavorare a quello che ci appassiona (ci stiamo lavorando 😉 ) fino ad arrivare alla libertà di decidere se lavorare o meno (che indovina un po’: è un’ambizione legittima).

La Crescita.

In termini professionali, ma anche esistenziali e “spirituali”.

In due parole: sentirsi soddisfatti di “chi si è” e di dove si sta andando, sentirsi prosperi, rigogliosi, “abbondanti”.

E poi la Vita. O forse il Tempo. O forse il “Chi Sono Io”.

Nel senso della qualità della vita, ma anche nel senso di un “senso”, di uno scopo (in inglese suona meglio: “the purpose of life”) di difficile formulazione ma che parte certo dalla consapevolezza che il tempo è l’unica ricchezza che abbiamo e che questo tempo abbiamo la responsabilità di impiegarlo “bene”.

In accordo con quello che siamo veramente, con quelle che sono le nostre attitudini, le nostre aspirazioni, il nostro “Chi Sono Io”.

numero quattroA cosa proprio non riusciresti a rinunciare?

 

Al caffè 🙂

Non è vero: capita e si è costretti a farlo se si gira il mondo… oppure si dovrà accettare a malincuore il caffè solubile. 🙁

Ai sogni.

Sembra una cosa banalissima ma c’è stato un momento in cui l’ho vissuta in maniera significativa.

Capitano a tutti quei momenti di sconforto, quando tutto sembra perduto, quando anche quella che sembra la tua ultima speranza di vedere finalmente soddisfatta quella tua grande, sofferta, aspirazione…

Si spegne.

In quel momento arriva la tentazione alla resa. La tentazione alla rinuncia. La tentazione al mollare quella continua tensione che ci protende verso altro rispetto alla condizione in cui ci troviamo.

Ecco: quel momento serve forse a capire che a quella cosa non rinunceremo mai. Anche se non la raggiungessimo mai, moriremo tentando di raggiungerla.

Ma rinunciare a quella cosa, non fa proprio parte di noi.

Non è nel nostro DNA. Non è il nostro “Chi sono io”.

Non vogliamo conoscere altra maniera di vivere se non quella che contempla il seguire i nostri sogni.

E allora forse succede qualcosa che ci dice che ha ragione Les Brown:

The universe responds to the man or woman that refuses to be denied.
Traduzione mia: l’Universo risponde a chi rifiuta di venire rifiutato.

universo-risponde

numero cinqueQuali sono le tue passioni?

Questa è una domanda molto difficile 🙂
Le passioni mutano e si evolvono insieme a noi.

A volte capita di lavorare ad un progetto (personale) e concentrarsi così tanto da venire totalmente assorbiti. Non è forse passione quella?

Ho la fortuna, o la sfortuna, che spesso passione e lavoro si confondono, soprattutto quando si tratta di progetti personali.

In questo periodo ad esempio mi appassiona molto diventarefreelance.it, il mio progetto dedicato all’insegnare agli aspiranti freelance quello che faccio da 10 anni: trovare clienti con internet!

Lo considero “lavoro” perché voglio che sia un progetto sostenibile e per essere sostenibile ci dovrò guadagnare prima o poi. Ma al momento… diciamo che lo faccio “per la gloria”.

Oppure per passione, appunto!

 

homepage-diventarefreelance

Mi ricorda un po’ una cosa che ho imparato provando a fare (con scarsissimo successo) l’esercizio dei 101 desideri: quando devi mettere per iscritto i tuoi desideri inizi sempre con le solite cose:

soldi, amore, salute, carriera…

Ma dopo poco, stilando questa lista, ti rendi conto che una volta realizzati amore, libertà finanziaria, perfetta condizione di salute, soddisfazione personale in quello che si fa, etc…

Iniziano a venire fuori in maniera del tutto naturale e spontanea dei desideri “altruistici”:

  • voglio ispirare le altre persone;
  • voglio contribuire a rendere migliore la vita delle altre persone;
  • voglio insegnare;
  • voglio salvare vite.

Alla fine forse, noi esseri umani, non siamo così “stronzi” come ci dipingono!

We are not human beings having a spiritual experience.
We are spiritual beings having a human experience.
Noi non siamo esseri umani che vivono un’esperienza spirituale.
Noi siamo esseri spirituali che vivono un’esperienza umana
Pierre Teilhard de Chardin

numero6Cosa davvero ti fa battere il cuore?

Mia morosa. Ma mi fa anche spesso girare parecchio le palle! 😉

numero7Con che atteggiamento affronti le difficoltà? E se ti fa piacere raccontaci un episodio in particolare…

Questa è una cosa che sento che VOGLIO raccontare.

Voglio raccontare di un ingrediente forse originale che penso mi abbia aiutato in uno di quei periodi di sconforto a cui accennavo prima.

A Las Palmas andavo regolarmente a fare ginnastica in un bel parco vicino casa, con le mie cuffiette e la mia bella playlist di musica pesa.
Ma le solite canzoni vengono presto a noia.

Così mi viene l’idea di andare su YouTube a cercare “workout music”, musica per fare allenamento…

Non solo trovo la “workout music” ma scopro anche l’incredibile mondo dei Motivational Video (in inglese). Scarico questi video in MP3 per usarli come tracce per la mia playlist per allenarmi e…

Non sarò mai in grado di descrivere la potenza di questa cosa.

L’ascolto di queste tracce (in abbinamento forse anche all’esercizio fisico) risveglia in me antiche parti guerriere e mi ricorda che:

  • ho dei sogni da realizzare (e anche se non li avessi, avrei comunque tutto il mio potenziale);
  • che siamo e saremo sempre più grandi delle nostre paure;
  • che il dolore è solo temporaneo (smettere di sognare invece rischia di essere “cronico”);
  • che rialzarsi è 1000 volte più potente che cadere;
  • che fondamentalmente sono disposto a fare qualsiasi cosa per i miei sogni perché non c’è altro modo di vivere se non onorando ciò che sono.

Ogni sessione di allenamento diventa così un bagno nel fuoco della mia volontà più pura.

L’energia percorre i muscoli del mio corpo, mi viene la pelle d’oca, petto in fuori, pancia in dentro, pugni chiusi e sguardo che incendia.

E a volte succede qualcosa di strano: quel fuoco divampa oltre la mia determinazione e sale verso il cuore e quando arriva al centro del petto… esplode, a ondate, la fede!

Ma non fede in senso religioso:

fede nel senso del sentimento che ti dice “tu ce la farai”, qualsiasi cosa tu voglia essere o fare o realizzare… “tu ce la farai!”

E, al di là delle lacrime che iniziano a bagnare i tuoi occhi, sembra quasi di vederlo scritto nel destino il tuo sogno, e viene un po’ il sospetto che a scriverlo sia proprio quel “tu ce la farai!“, quella fede che non è fede in senso religioso.

Mentre quello che si vede dietro la mia testa nella foto invece credo sia proprio un principio di aureola 🙂

aureola-jonathan

Ops…

Ho appena copiato e incollato un pezzo di un vecchio post di Facebook per rispondere a questa domanda. Ma secondo me ci stava. 🙂

Mi toccherà concludere la risposta, così come avevo concluso quel vecchio post di Facebook, con un…

DISCLAIMER:

mi raccomando, caro lettore, non prendermi troppo sul serio! A volte mi lascio trasportare dalle parole per vedere dove ci portano e per non perdere mai l’occasione di evocare un’emozione o di dare una bottarella di incoraggiamento a chi potrebbe averne bisogno.

Ma non sono né perfetto, né arrivato, né uno da ascoltare con particolare attenzione. A volte mi piace scrivere con una certa enfasi. Tutto qua.

Girare il mondo e incontrare nuove persone ogni giorno che valore aggiunto dà alla tua vita?

È un concetto complicato e spesso doloroso. In questo stile di vita, o in quello da expat, c’è chi soffre molto la mancanza delle persone che si lasciano “a casa” .

Personalmente trovo che le persone che si incontrano girando il mondo è facile che siano tanto meravigliose quanto determinanti. Eppure i vecchi amici – quelli che “dove sono io c’è una casa per te” – sono quelli vecchi, appunto.

Mi permetto di non sentirne la mancanza: come ho avuto modo di leggere recentemente in una discussione sul gruppo facebook, se sono veri amici preferiranno saperti felice a giro per il mondo piuttosto che averti triste in un posto che non puoi, o non hai il coraggio, di lasciare.

Oppure l’altra spiegazione è che io sia sociopatico.

C’è da considerare anche quella! 😉

numero8Ci sono dei posti nel mondo che  ti sono piaciuti più di altri e che ti senti di consigliare a chi, come noi, vuole lasciare il posto fisso e buttarsi in questa avventura?

Ubud, Bali, per la sua bellezza e per gli scenari “folkloristici”, per lo stile di vita e per incontrare altri nomadi digitali.

Chiang Mai, la capitale dei nomadi digitali, neanche la nominerei più: preferisco di gran lunga Ubud. Ma se uno ha bisogno ancora di formarsi e il networking con altri nomadi digitali è parte integrante del proprio progetto, la prenderei seriamente in considerazione per il basso costo della vita e per la quantità di nomadi digitali che ancora la frequentano.

Se infine uno vuole fare base da qualche parte nel mondo che non sia l’Italia, allora consiglio le Canarie: siamo in Europa (con tutti i vantaggi che questo comporta anche dal punto di vita burocratico) ma godiamo di un clima meraviglioso che qualcuno ha l’audacia di chiamare “eterna primavera”.

numero-9Qual è il consiglio che senti di dare a chi non sa da che parte iniziare? Quanto è importante la formazione? E l’atteggiamento?

Se dovessi dirlo con una sola parola: l’inglese.

Per me è stato determinante.

Così come lo è stato andare a vivere in Australia per 4 anni.

Per il resto si tratta di trovare la propria strada, ma per trovare la propria strada bisogna sperimentare, bisogna fare.

Ho perso 10 anni della mia vita ad aspettare un’intuizione che sentivo sempre prossima ad arrivare, ma che non arrivava mai.

Alla fine, per disperazione forse, ho fatto una cosa che è l’esatto contrario del muoversi a seguito di un’intuizione.

Mi sono buttato, quasi alla cieca, e sono finito dall’altra parte del mondo: in Australia, appunto.

E questo perché la mia sfida non era quella di trovare la mia intuizione, ma di sperimentare, di esplorare, di mettermi alla ricerca, in termini meno filosofici di quello che stavo facendo. In termini più pragmatici: fare, provare, prendere e partire!

Mi verrebbe da dire: se non sai chi sei non sai cosa troverai quando ti metterai a cercare te stesso.

Aspettati di tutto! 😉

Ma la sfida era anche quella di superare la paura dell’ignoto.

Se avessi avuto un’intuizione illuminante su come muovermi… non sarebbe più stato tanto “ignoto” forse.
Se fossi stato mosso da un’ispirazione folgorante… forse non ci sarebbe stata nessuna paura da superare.

Invece no: dovevo farlo, dovevo partire con la paura di non sapere cosa avrei trovato dall’altra parte e soprattutto con la paura di ritrovarmi un giorno a dirmi di aver fatto una tremenda cazzata!

Altro che intuizione!

Behind every fear is the person you want to be.
Al di là di ogni paura c’è la persona che vuoi diventare.
Greg Plitt

paura-persona

Nota: al di là di queste mie parole, sono naturalmente anch’io dell’idea di seguire sempre le intuizioni! Questo era un episodio che riguardava me in una determinata situazione. Quando siamo benedetti da un’intuizione… seguiamola! 🙂

Ricorda un po’ quello che diceva Steve Jobs nel suo famoso discorso agli studenti di Stanford:

You can’t connect the dots looking forward,
you can only connect them looking backwards.

Non puoi unire i puntini guardando avanti,
puoi solo unirli guardando indietro.

numero-10Sicuramente starai facendo fantasticare chi ti sta leggendo, magari alcuni di loro vorrebbero mollare tutto e partire proprio come hai fatto tu tempo fa.

Spesso si ha paura dell’ignoto, del non conosciuto, si vorrebbe sapere già come andranno le cose. Ma oggi sei consapevole di quanto ciò che è hai ottenuto nella tua vita ha di gran lunga superato le tue aspettative perché solo sperimentando e vivendo certe esperienze si può capire il perché se lo si vuole è davvero possibile.

Che cosa ti senti ti dire a chi per paura dell’ignoto non riesce a compiere il primo passo?

La prima cosa che si impara è che le cose sono sempre più facili di quanto alla nostra mente piace pensare.

Parti per l’Australia con un inglese assolutamente insufficiente e ti ritrovi in un paese dove, a causa di quell’accento tutto particolare, è come se parlassero arabo o klingon.

Ti accorgi che non sai neanche come chiedere dov’è un bancomat, anche perché in inglese non si dice “bancomat”!

Eppure ce la fai.

Oppure ti dici ok, ora provo a fare il nomade digitale, vado in Thailandia e mi porto il computer e lavoro da là… ma poi dove lo lascio il computer?

E se me lo rubano?

Eppure ce la fai.

Oppure finisci in un posto nuovo e devi trovare casa, capire come funziona la città, sai che perderai un sacco di tempo dietro a queste cose…
Ti viene da pensare, come al solito, al peggior scenario possibile.

Eppure ce la fai.

Quindi direi innanzitutto che sì, la paura c’è sempre e far finta che non ci sia non aiuta.
Ma direi anche che le cose sono sempre molto più facili di quanto alla nostra mente piace pensare.

Questo almeno lo direi ad esempio ad una persona che ha solo paura ma che ha tutti i requisiti per potersi lanciare sul mercato.
Se i requisiti non ci sono… beh, allora bisogna ottenerli prima!

scogliera-jonathan

Ad esempio per fare il Nomad Worker bisogna molto probabilmente avere:

  1. una competenza rivendibile su internet;
  2. un bel parco di clienti online.

Ed è anche di questo che mi voglio occupare con diventatefreelance.it: dell’insegnare a crearsi un bel parco di clienti online.

numero-11Ci racconti uno dei tanti episodi che hai vissuto in giro per il mondo che ti ha davvero lasciato il segno e quale insegnamento importante porta con sé.

Non tanto un episodio, ma un periodo.

Anzi: due.

Il primo viaggio in Thailandia doveva essere un viaggio esplorativo, per vederla un po’ tutta: Bangkok, Koh Samui, Krabi, Phuket, Chiang Mai… tutto in 6 settimane!

Ma quando mi trovo a Koh Samui mi dicono “ah… devi andare a Koh Phanghan!” e mi spiegano che Koh Phanghan non è solo l’isola del Full Moon Party (un grande rave meglio descritto come “la notte dove 10.000 persone pisciano sulla spiaggia e altre 10.000 ci camminano sopra”).

Così finisco a Koh Phanghan, non prevista nel mio itinerario, e trovo un’isola meravigliosa, con un’atmosfera talmente rilassata che rimango a bocca aperta per mezz’ora, in contemplazione.

Per farla breve: il mio viaggio esplorativo in Thailandia salta e rimango a Koh Phanghan per un intero mese, fino alla data segnata sul mio biglietto di ritorno.

A Koh Phanghan inizio a fare Yoga. Un corso che riprendo anche l’anno successivo, nel mio secondo viaggio in Thailandia (dopo due mesi di Chiang Mai).

Il corso è intensivo, gli insegnamenti coinvolgenti, la scuola strutturata e le persone che la frequentano gradevoli.

Per due volte nel giro di poco più di un anno contemplo la possibilità di una vita alternativa: rimanere a Koh Phanghan, andare fino in fondo a questa via, imparare questo tipo di Yoga, magari un giorno diventare pure un insegnante e diffonderlo questo tipo di Yoga.

Sentivo, accarezzando questa ipotesi, un certo senso di “scopo” con una chiarezza… rara.

Alla fine non lo faccio e trovo un mio senso altrove. O forse no. Ma non importa.

Quello che mi rimane da questa esperienza è la consapevolezza che ci sono infinite alternative a quella vita mainstream fortemente consigliata dalla società in cui siamo cresciuti.

Penso a quei momenti in cui ci sentiamo persi e mi chiedo se non ci possa aiutare veramente, come si sostiene, il viaggiare, non da turista, ma da “ricercatore di stili di vita” o da “ricercatore di se stessi”.

Forse sbaglio a dire queste parole ma se non fosse la depressione ad ammazzare ma la mancanza di speranza, allora mi piacerebbe dare a tutti un po’ di speranza.

Anzi, di certezza: ci sono infinite vite da scoprire in giro per il mondo. E forse neanche troppo lontano da “casa”.

Di sicuro ci sono infinite vite da scoprire al di là della Comfort Zone!

numero.12E quale persona, più di tutte, porti nel cuore per ciò che ha condiviso con te o per ciò che ti ha insegnato?

Mio padre. Mio padre è morto improvvisamente quando ero in Australia.

Un mese prima, per il mio compleanno, mi aveva scritto una poesia che mostrava quanto fiero fosse di me per quello che avevo fatto: essere partito all’avventura dall’altra parte del mondo.

Un esempio per me, che dovrò ricordare se mai un giorno avessi un figlio, un esempio per tutti: un rapporto non deve per forza essere un legame che impedisce ad una o entrambe le parti di prendere il volo.

La morte improvvisa di una persona cara è una tragedia, il non esserci è un’altra tragedia che si somma alla prima ed è una cosa da mettere in conto quando si viaggia o quando si fa gli expat.

Ma cerchiamo di capire una cosa: non abbiamo preso il volo per egoismo. L’abbiamo fatto perché la nostra natura ce l’ha chiesto.

Se non viviamo onorando ciò che siamo… che vita è?

Mia padre ha onorato ciò che sono. Quale dono più immenso poteva farmi?

numero-13Una vita da “nomade” ti permette di sentirti libero ma allo stesso tempo ti toglie qualcosa. Cosa ti manca più di tutto? (Cosa ti dà… E cosa ti toglie?)

Sinceramente non mi manca proprio niente. Però ho l’impressione di vivere la mia “condizione” in maniera molto più serena rispetto a molte altre persone.

 

Sono “nomade”?

Boh?!? Se mi va di partire, parto. Se mi va di tornare, ritorno. Se mi va di fermarmi, mi fermo. Il mio lavoro mi permette di farlo.

All’inizio, quando è poco che sperimentiamo questo stile di vita, ci viene naturale “difenderlo”, fare del “proselitismo”, considerarlo “migliore” e propagandarlo come lo stile di vita che tutti dovrebbero adottare.

Non è così, non è per tutti. Oltre al lavoro ci sono altre cose che ci legano ad un posto, che ci rendono Location Dependent: le relazioni, le abitudini, gli oggetti.

  • Sei disposto a vendere la macchina e partire?
  • A rinunciare alla tua collezione di dischi in vinile?
  • A tutto il tuo guardaroba che non potrai stipare in valigia?
  • A non vedere per qualche mese amici e famiglia?
  • Al solito bar del Venerdì sera.
  • Alla tua palestra?
  • Ad andare a portare fuori il cane?
  • A proposito, a chi lo lasci il cane?
  • Se poi hai una relazione stabile con una persona che non può partire con te? Chi te lo fa fare di partire?
  • Se hai dei figli poi… la vita da Nomad Worker è ancora possibile (ci sono famiglie documentate, c’è tutta una “letteratura” su internet) ma sicuramente sarà un po’ più difficile.

numero14Ci racconti quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Passare dal lavorare per i clienti della mia agenzia al lavorare per i miei clienti è stato un bel salto di qualità in quanto a passione profusa nel mio lavoro.

La mia ambizione ora, da diverso tempo, è quella di passare dal lavorare per i miei clienti al lavorare per i miei progetti.

Ci stiamo lavorando! 😉

numero15Che cosa pensi del cambiamento?

Che avviene in ogni caso. Meglio che decidiamo noi dove (provare a) dirigere l’inevitabile flusso dell’impermanenza. 😉

Sospetto a riguardo che ci siano almeno 2 parti di noi che interagiscono in una difficile convivenza:

  • una è quella che si vuole rilassare, vivere le cose come sono, stare in pace, godersi la vita e non avere problemi;
  • l’altra è quella che vuole crescere.

Sospetto che anche se non facciamo niente per avere problemi, i problemi arrivino lo stesso.

Ultimamente ho sentito questa frase: “se hai un problema, hai un progetto”.

Che ricorda un po’ “ogni crisi è un’opportunità”.

C’è una parte di noi che vuole crescere e crescere è un po’ il movimento naturale della vita.

Da questo punto di vista non si è mai “arrivati”.

Potrebbe essere (ipotesi non mia) che se non facciamo niente per crescere allora quella parte di noi che vuole crescere ci creerà problemi, problemi attraverso cui siamo costretti a crescere.

Fai un saluto!

Saluto le mosche bianche, le pecore nere, le uova marce e anche le mele marce.

Chi viaggia per esplorare diverse possibilità di vita e chi si ferma per costruirne una, alternativa o meno, ma che sia la propria.

Saluto tutti gli outsider di qualsiasi risma e grado.

E soprattutto tutti i freelance “dentro”.

Il nostro stile di vita, qualunque esso sia, non è il migliore: è solo il vestito che ci sta meglio addosso.

Non abbiamo bisogno che tutti indossino il nostro stesso vestito, ma troveremo salutare circondarci di persone a cui piaccia il nostro stesso guardaroba! 😉

Se pensi che il vestito che ti sta meglio addosso sia quello del Nomad Worker… allora ti invito ad iscriverti al gruppo Facebook che gestisco insieme ad altri 6 Nomadi Digitali.

Se sei un professionista e vuoi diventare un freelance… l’hai già capita: diventarefreelance.it

Se invece vuoi passare a salutarmi o dirmene 4 per qualche motivo:

  1. Sappi che non sei l’unico (a volermene dire 4).
  2. Questo è il mio nuovo sito: jonathanseo.it

jonathanseo

Oppure puoi sempre fare un commento qua sotto…

Infine, visto che in questo articolo le ho proprio sparate grosse… permettimi di salutarti con questa bella citazione di Marianne Williamson nella versione che compare nel film Coach Carter:

La nostra paura più profonda non è quella di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda è quella di essere potenti oltre ogni limite.
È la nostra luce, non la nostra ombra, che più ci terrorizza.
Vivere al di sotto del tuo potenziale non sarà di servizio al mondo.
Non c’è nulla di illuminato nello sminuirti per fare in modo che gli altri non si sentano insicuri vicino a te.
Siamo tutti nati per risplendere, come fanno i bambini.
Non è solo in alcuni di noi, è in tutti noi.
E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere
inconsciamente diamo la possibilità ad altre persone di fare lo stesso.
E quando ci siamo liberati dalle nostre paure
la nostra presenza automaticamente libera gli altri.