<<Questa settimana ho il piacere di intervistare Giulia, una giovane donna di 27 anni, aspirante giornalista, che ha deciso di condividere la sua esperienza di vita su un argomento che le sta particolarmente a cuore. Giulia, infatti, da più di 14 anni, convive con un soggetto molto scomodo, a tratti prepotente e imprevedibile, che si chiama diabete.
Raccontaci un po’ di te: a che età ti è stato diagnosticato il diabete mellito di tipo 1? Con quali sintomi è apparso?
Mi è stato diagnosticato il diabete di tipo 1 all’età di 13 anni.
Non avevo particolari sintomi, proprio perchè era agli esordi, a parte una continua esigenza di bere e urinare. Questo è uno dei campanelli d’allarme più comuni, ma forse, proprio per questo, anche il più sottovalutato.
Per pura casualità, però, quell’anno dovevo fare la visita medico-sportiva a livello agonistico che prevedeva anche l’analisi delle urine e, da queste, è risultata una considerevole presenza di zuccheri. È stato necessario, quindi, un ricovero di 10 giorni in ospedale, dove mi hanno fatto tutta una serie di esami che hanno poi confermato la presenza del diabete.
Per chi avesse le idee un po’ confuse, voglio fare alcune precisazioni tecniche, di modo da capire meglio di cosa stiamo parlando.
Il diabete, o diabete mellito, è un’eccessiva concentrazione di glucosio nel sangue (iperglicemia) dovuta ad un’insufficiente produzione di insulina da parte del pancreas, o ad una scorretta risposta insulinica da parte delle cellule dell’organismo.
Da questa considerazione, derivano due tipi diversi di diabete:
- Diabete di tipo 1: è detto insulino dipendente o diabete giovanile, perchè compare in età infantile o adolescenziale. Esso corrisponde circa al 10% dei casi.Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune, per cui irreversibile, cronica e incurabile, poichè gli anticorpi riconoscono come nemiche le cellule beta del pancreas preposte alla produzione di insulina; ne deriva che il diabetico, ogni giorno, per tutta la vita, dovrà iniettarsi dell’insulina (insulina esogena) per poter sopravvivere.
- Diabete di tipo 2: è la forma più comune di questa malattia, colpisce, infatti, circa il 90% dei casi e compare spesso nei soggetti di mezza età, in soggetti anziani e in concomitanza di obesità e sovrappeso.Per questo motivo, viene anche chiamato diabete alimentare. In tal caso il soggetto non è insulino dipendente, per cui, con le dovute accortezze, può anche arrivare alla guarigione.
A questo proposito Giulia, ricordi qual’è stata la tua reazione alla diagnosi di «irreversibile» e «incurabile»? Quali le emozioni?
Pur essendo una ragazzina di soli 13 anni, ricordo perfettamente come ho reagito alla diagnosi. Mi avevano subito detto che avrei dovuto fare delle iniezioni, io pensavo sarebbe stata una a settimana.
Non avevo paura degli aghi, anche perchè fin da piccola, per altri motivi, ho fatto molti esami del sangue. Ho realizzato l’irreversibilità e la gravità della malattia, quando, di base, le iniezioni di insulina erano 3 al giorno e a volte diventavano persino 4 o 5.
Avevo solo 13 anni, ma mi sono chiesta se quella poteva essere davvero chiamata vita. In quei 10 giorni di ospedale, i medici sono stati fantastici, mi hanno spiegato la malattia attraverso delle storie e insegnato a gestirla; ma la scienza non poteva spiegare quello che avevo dentro, non poteva arginare la rabbia, lo sconforto, la paura, le lacrime di una ragazzina che non capisce fino in fondo quello che la sta attraversando, se non il fatto che le è cambiata la vita e che i suoi coetanei non si faranno mai 3 iniezioni di insulina al giorno, mentre lei, senza di quelle, non può più vivere.
Com’è la tua giornata tipo? Quanto questa patologia ne ha modificato i ritmi e la qualità?
Modificare i ritmi di vita è una scelta e io ho deciso di non farlo. È pur vero che a volte bisogna avere quel pacifico rispetto della malattia, cioè bisogna accettare che a volte il diabete si impone in questa relazione a due.
Il diabete è una malattia gestibile, ma subdola, perchè si possono fare tutti i calcoli scientifici di questo mondo, ma, a meno che io non sia una persona perennemente felice, senza sbalzi d’umore, a meno che io non faccia le stesse cose agli stessi ritmi ogni giorno, beh, allora, si deve mettere in conto che il diabete possa andare per i fatti suoi e si deve imparare a lasciarsi ostacolare pacificamente da lui.
Visto che hai parlato di accettazione, cosa significa per te accettare il diabete?
Per me l’accettazione non è resa, ma è forza di guardare in faccia la realtà dei fatti. Accettare di convivere con il diabete e che lui, a volte, mi possa giocare brutti scherzi, è fondamentale per non rinunciare ai miei sogni.
D’altra parte devo imparare a gestire lui, se voglio realizzare i miei desideri, altrimenti, con la rabbia e la vendetta gliela dò vinta. Non è, però, sempre facile farlo, ma mi sforzo, è inevitabile… non provo odio, ma a volte mi sembra tutto così pesante da sostenere.
Cosa fai per tenerti in forma?
Ora come ora nulla di particolare. Per molti anni ho praticato pallavolo a livello agonistico, non tanto per il diabete, quanto piuttosto per mia soddisfazione personale e per il mio benessere mentale.
Qui la malattia non ha mai vinto, tranne una volta che mi ha abbattuta parecchio.
Rimango però una persona molto attiva: mi piace, infatti, camminare, fare lunghe passeggiate accompagnata dal mio cane. Sto attenta all’alimentazione, non per un fattore estetico (anzi, qualche chilo in più sarebbe il benvenuto), ma per evitare tutti gli effetti collaterali che cibi sbagliati, associati al diabete, possono procurare.
Per il diabetico, ogni alimento è un numero, un’unità di insulina da iniettarsi, specialmente se si tratta di zuccheri semplici e complessi. Saper riconoscere la dose giusta allunga la vita, poichè incorrere in iper o ipoglicemia, causa delle complicazioni notevoli all’organismo.
Con la parola complicazioni, si intendono danni agli occhi fino ad arrivare alla cecità; ai reni; al sistema nervoso; al sistema neurovegetativo ed a quello cardiovascolare.
Visto che siamo entrati in tema alimentazione, voglio leggerti alcune frasi estratte dal libro «The China Study», in cui il dott. Campbell, attraverso numerose ricerche scientifiche, arriva ad affermare che:
«gli alimenti di origine vegetale ad alto contenuto di carboidrati e fibra proteggono dal diabete, mentre i cibi di origine animale ad alto contenuto di grassi e proteine lo promuovono» e, aggiunge: « i diabetici di tipo 1 non sono in grado di produrre insulina. È difficile immaginare un qualsiasi cambiamento nella dieta che possa migliorare la loro situazione critica, ma dopo tre sole settimane i diabetici di tipo 1 erano in grado di ridurre l’assunzione di insulina del 40% in media e i loro livelli di colesterolo erano scesi del 30%».
Cosa pensi di queste affermazioni?
Credo che un’alimentazione di tipo vegetale dia ottimi risultati, se non addirittura la guarigione a chi è affetto da diabete di tipo 2, che poi è proprio quello alimentare. Nel mio caso, diabetica di tipo 1, questi dati non mi lasciano assolutamente indifferente, ma ciò non toglie che io debba comunque iniettarmi dell’insulina ogni giorno per vivere.
Il discorso alimentazione è molto delicato:
da una parte, è difficile far passare il messaggio dell’importanza di ridurre le proteine animali, poichè le abitudini alimentari sono un aspetto fondamentale della nostra cultura; dall’altra parte, il passaggio da un’alimentazione «tradizionale» a una vegetale è da ponderare molto bene, perchè nessun cibo deve rimpiazzare il processo di consapevolezza e accettazione della malattia.
Con questo voglio dire che nessun cibo fa miracoli, se poi proviamo odio e rabbia verso quello che ci è capitato.
E qui entriamamo in un altro ambito della malattia, quello psicologico-comportamentale. A questo proposito, Louise Hay, madrina del pensiero positivo, nel suo libro «Puoi guarire la tua vita», afferma che «i pensieri positivi aiutano a dissolvere le malattie».
Questo significa che, accanto alle cure mediche, la differenza la gioca l’atteggiamento, l’attitudine verso la malattia.
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E tu, Giulia, che atteggiamento hai nei confronti della malattia? È sempre stato lo stesso o è cambiato nel tempo?
Beh, sicuramente il mio atteggiamento è cambiato, perchè non sono più la ragazzina impaurita di 13 anni a cui è appena stato diagnosticato il diabete mellito tipo 1; ora mi conosco molto di più e così ho imparato a gestirla al meglio.
Credo che ogni atteggiamento positivo derivi dall’accettazione, senza di essa non si fa nulla, anzi, al contrario, il diabete può venirti persino contro. Quando mi capita di andare in ipoglicemia, metto in conto che a volte mi tocca stare ferma sul divano con gli occhi fissi al soffitto per almeno un paio d’ore.
È in queste occasioni, quando il fisico mi abbandona, che la testa fa tanto, nonostante sia offuscata. Lascio spazio al diabete, lo lascio fare, mi armo di pazienza e mi tranquillizzo, è questa la mia vittoria.
Certo, mi scoccia un po’ aver sprecato quel paio d’ore che invece potevo utilizzare per le mille cose da fare, ma finita la crisi sono pronta a riprendermi il comando della mia vita.
Continuando nella dimensione psicologica della malattia, il dott. Raffaele Morelli, psichiatra e psicoterapeuta, nella rivista Riza offre una spiegazione psicoanalitica del diabete.
Egli afferma: «il diabete è il tentativo di darsi dall’interno quella dolcezza materna appagante e incondizionata di cui c’è bisogno per affrontare la vita. Essa deriva da un rapporto di forte dipendenza psicologica dalla madre, una donna dall’atteggiamento ambivalente. Da una parte è in sintonia quasi ombelicale con il figlio, dall’altra esprime su di lui giudizi impietosi e lo carica di grandi aspettative. Questo schema viene esteso dal soggetto in età adulta a tutte le relazioni: cerca di evitare rapporti di critica e competizione (ipoglicemia), mentre ricerca rapporti in cui si sente protetto, accettato e amato (iperglicemia).»
Giulia, cosa pensi di questa spiegazione?
Si tratta di un’affermazione molto forte che sento adesso per la prima volta in vita mia. Non ti nego però che sia arrivata dritta al cuore, pur definendomi io stessa una persona molto razionale, scintifica, che non smetterà mai di farsi la sua dose di insulina ogni giorno.
Mia madre… beh, non penso di non aver ricevuto il suo amore, però so che ho fatto tanto per conquistarlo, catturarlo e a volte non mi sono sentita all’altezza di meritarlo, anche dopo lo scoppio della malattia.
Ho avuto una madre piena d’amore, ma anche molto carabiniere; per cui, per quanto cercasse di proteggermi, lo faceva sempre con una bacchetta in mano e così tutto ciò che mi donava si trasformava in un’imposizione.
Non vedevo una via d’uscita da questa relazione soffocante, non mi arrivava quell’ossigeno necessario per crescere e conoscersi, per cadere e rialzarsi.
Come sono cambiati i rapporti con gli altri (familiari, amici ecc.)? Il diabete, in questo senso, ti ha penalizzata o favorita?
Il diabete non mi ha assolutamente favorita nelle relazioni interpersonali, perchè la cosa più difficile è quella di spiegare a un amico una malattia che non si vede. Ti ritrovi a parlare di un dolore, una necessità pratica, un malessere, che l’altro non capisce e che quindi, anche se senza cattiveria, finisce per sminuire; allora ti senti in colpa, sbagliata, ti arrabbi, piangi ed erigi un muro fra te e gli altri.
Per esempio, può capitare che durante una camminata tra amici, io vada in ipoglicemia e mi debba fermare. È in queste occasioni che per un diabetico è importante essere circondato da amici sensibili che, anche se non capiscono fino in fondo, gli stanno vicino e rispettano i suoi tempi.
Quali sono le 3 più grandi paure per il futuro riferite alla malattia?
No, non ho paure, non le ho più… le ho scacciate sfidandole.
Qualche anno fa, ero molto spaventata dalle complicazioni della malattia e dal fatto di non poter realizzare i miei desideri per il diabete, però ho sfidato tutte queste paure attraverso lo sport e facendo un lavoro che mi piace anche a orari improponibili.
Fa parte tutto della convivenza: io ti accetto e tu mi lasci vivere.
C’è però ancora una paura che a volte mi assale ed è quella di non riuscire a trovare un uomo che mi ami esattamente così come sono, perchè io sono anche un po’ il mio diabete e i suoi ritmi. Una persona che accetti me e la mia malattia per com’è oggi e domani, anche se non so ancora come sarà.
Quali consigli daresti a chi ha il diabete e vive un momento di sconforto?
Più che consigli, voglio fare un augurio, ripensando a quello che avrei voluto trovare io a 13 anni, una volta uscita dall’ospedale.
Auguro a tutti i diabetici di avere accanto una famiglia che desidera fino in fondo capire che cosa sia il diabete e che riesca ad accettarlo ancora prima di chi ce l’ha. Mio padre, tuttora, mostra poco interesse per la mia malattia e ne sa poco o nulla.
Beh, se a lui faceva paura, immaginatevi a una bambina di 13 anni che si aspettava che il suo papà si facesse carico di quel macigno e che glielo restituisse piano piano, con amore, per riuscire ad affrontarlo al meglio. In qualche modo, quindi, io ho dovuto far fronte anche al suo disagio.
Auguro davvero, a chi sarà diabetico da oggi in poi, di avere attorno persone sensibili e speciali, perchè è troppo facile nasconersi dietro l’aggressività e la paura, è troppo facile voltare la faccia, festeggiando l’uscita dall’ospedale con un vassoio di pasticcini.
Scelta altamente sconsiderata!
Fai un saluto
Ringrazio Martina che per la prima volta mi ha dato la possibilità di stare dall’altra parte del registratore, perchè di solito le domande le faccio io. Ringrazio la sua coach Vittoria Dimanti per avermi permesso di parlare di diabete in modo così fresco e profondo.
Grazie di cuore a te Giulia.
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Vorrei ringraziare superMarti per il lavoro svolto, grandiosa come sempre, e vorrei rivolgere un pensiero di gratitudine a Giulia, per la sua testimonianza, per la sua sensibilità e per il coraggio!!! Qualunque tipo di limite possa importi la malattia ti assicuro che scompare di fronte all’amore che hai dentro e che si percepisce fortissimo!!
Elsa