<<L’anoressia, secondo i pareri più autorevoli, sarebbe il rovescio della medaglia di una società basata sull’apparire, l’estetica, l’avere e sulla performance.

Sicuramente i modelli di oggi possono costituire uno strato sociale favorevole alla malattia, ma mi sembra riduttivo paragonare l’anoressia a diete dimagranti, paillettes e fama, perchè sminuirebbe la sofferenza, la fine tragica di chi non ce l’ha fatta, ma anche il duro lavoro di chi ha deciso di rinascere dalle ceneri del passato, di chi, come me, ne è uscito e ora è qui per portare il suo messaggio nel mondo.

In questo articolo, il mio obiettivo è di provare a spiegare cosa accade nella mente e nel corpo di una persona anoressica, senza puntare l’attenzione sul peso, sul cibo e sull’eccessiva magrezza, se non come il risultato di qualcosa di più grande e nascosto, che fa troppa paura a chi lo vive, molto di più della morte stessa.

Voglio parlare di pensieri, parole, emozioni e scenari che costruiscono il mondo dell’anoressia, con la consapevolezza che, nonostante esistano cause comuni, ogni caso è a se e non è riducibile ad una spiegazione scentifica, esatta, di un libro di psicologia.

Se penso all’anoressia, mi viene in mente quest’immagine: resti su un campo di battaglia dopo una guerra sanguinosa, atroce, dove regna il nulla e rieccheggiano pianti e grida di terrore.

Ma di quale battaglia si parla esattamente? Di quella più brutale, quella contro se stessi e che comincia quando ciò che si ha dentro di sé fa troppa paura, è troppo doloroso da affrontare, è qualcosa che non si può né fare né essere, perchè farebbe soffrire altre persone che anzi, forse già soffrono per aver capito la tua natura sbagliata.

«Non posso», «non si dice», «non si fa», «non si pensa»; il dialogo interiore è tutto improntato alla negazione, alla rinuncia e al controllo.

La persona anoressica si sente in diritto di esistere e di meritare amore solo se riesce a fare quello che deve e a essere chi non è.

Riuscite a immaginare lo stress mentale terrificante a cui la persona si sottopone?

Si, esatto, parliamo di volontà, perchè l’anoressia è una scelta, anche se inconsapevole, di rimettere la responsabilità della propria vita, della propria felicità, nelle mani di qualcun altro.

È il risultato di una ricerca estenuante e fallimentare dell’amore incondizionato verso l’esterno, proprio lì, in quei luoghi e da quelle persone che non potranno mai darcelo, anche se sono i nostri genitori, i nostri partner, o gli amici più cari.

Le aspettative d’amore e accettazione deluse portano l’anoressico ad avere una fame senza controllo, che scatena terrore e panico.

Ma di quale fame stiamo parlando, se la parola a-noressia, significa proprio «mancanza di fame»?

A mio parere, questa parola è estremamente inappropriata per racchiudere l’anoressica realtà interiore di una persona. Ciò a cui essa si riferisce, è la mancanza di appetito, ossia non avere voglia di mangiare, che spesso capita quando si è tristi, troppo stanchi, ma anche a causa di una terapia farmacologica.

Solo che l’appetito non ha nulla a che vedere con la fame, ed è per questo che la medicina tradizionale ha iniziato a parlare di anoressia nervosa.

Chi  rientra in questa «facile» diagnosi, ha fame, eccome!

Ha una fame spropositata di tutto: di cibo, amore, cultura, libertà, risate, di leggerezza, che non riesce a soddisfare per il conflitto che vive dentro di sé.

Ma è matematico che se non si mangia, o non si mangia abbastanza, il corpo deperisce e, a volte, si muore. Tuttavia non è così matematico dire che se si torna a mangiare non si è più anoressici, perchè l’annullamento dei bisogni fisiologici è la conseguenza evidente, il sintomo più eclatante, di un tormento profondo e personale che porta all’annullamento dei bisogni affettivi.

Per semplificare, il meccanismo che scatta nella mente inconscia di un anoressico, senza voler sminuire niente, è:

«Ecco guardatemi! La magrezza è l’unico modo che ho trovato perchè possiate vedermi. È il solo modo per potervi dire che IO SONO ALTRO RISPETTO A QUELLO CHE VOI PENSATE DI ME, MA, NONOSTANTE TUTTO, SENZA IL VOSTRO AMORE NON SONO NULLA».

Purtroppo però, spesso chi ci sta attorno è abbagliato dal sintomo, e così la parola del corpo viene fraintesa, spingendo l’anoressico a condurre una vera e propria battaglia tra se e il mondo:

«ma cosa avete capito? Io voglio essere visto per chi sono veramente, dentro di me, non fuori!»

Le speranze vengono così disattese e allora l’unica soluzione è diventare davvero trasparente:

«adesso decido io del mio corpo. Ora sto alle mie regole!»

Con regole, però, che escludono l’amore, non si va lontano.

Gratitudine e cuoreQuesto è il paradosso dell’anoressia: una forma di amore malato, risultato di una delusione per il mancato amore esterno e l’incapacità di crearlo dall’interno.

Attraverso il sintomo si cerca di non morire psichicamente, per non rinunciare al proprio io, per non essere quello che gli altri vorrebbero che fossimo, senza però sapere chi siamo veramente, senza il coraggio di esprimerci.

Insomma, un attaccamento alla vita con la rabbia di chi spera ancora in un miracolo di salvezza.

Ma come amarci se nessuno ce lo ha mai insegnato?

Esistono persone potenzialmente anoressiche, perchè nascono e crescono in una famiglia anoressica; quindi, secondo la psicologia, pazienti e famiglie dovrebbero fare un percorso parallelo di guarigione.

Spesso però è qualcosa di utopico e così, i risultati sono ancora più difficili da ottenere. La famiglia anoressica presenta delle caratteristiche ben precise: un padre proiettato sul fare, sull’autoefficacia e terrorizzato dal fallimento sociale; una madre rinchiusa nel ruolo di mamma-moglie-casalinga, dimenticandosi di essere anche una donna.

Si tratta di una famiglia in cui la comunicazione e lo scambio emotivo sono bloccati, a causa di un  atteggiamento morboso, iper-protettivo o disinteressato da parte dei genitori.

A distanza di qualche anno e con un certo distacco, posso dire che queste caratteristiche erano tutte presenti nella mia famiglia, anzi lo sono ancora.

Il punto è che, se aspettiamo che gli altri cambino, anche se gli altri sono coloro che ci hanno messo al mondo, possiamo anche aspettare la morte. Il cambiamento, quello vero, avviene solo e soltanto dentro di noi.

Nel bellissimo libro «Volevo essere una farfalla» di Michela Marzano, ad un certo punto lei chiede al suo psicoanalista:

«ma quando finirà questa battaglia?» e lui le risponde: «se vuole guarire deve smetterla di guardarsi attraverso gli occhi di suo padre».

Per me, queste parole sono un invito a cogliere il messaggio vitale dell’anoressia, anche se sembra non averlo, girandolo a proprio favore, ovvero RIBELLATI.

Sii te stesso e amati per chi sei anche se tuo padre e tua madre volevano fossi diverso. La vita è tua e tu sei l’unica persona con cui sei chiamato a condurla.

Non è semplice rinunciare alla sofferenza/protezione dell’anoressia, perchè questo vuol dire cedere alle debolezze e alle vulnerabilità umane, come i bisogni primari, ma è necessario e possibile solo quando si comincia a rinunciare a cercare amore dove non c’è e a consolarsi da soli.>>

Ringrazio Martina per questo splendido articolo.

Anche Martina ha avuto la possibilità di raccontare la sua testimonianza all’evento del 10 Settembre “il Viaggio dell’Eroe”, verso la libertà che ognuno di noi merita. Condividere con altre 150 persone la sua storia di guarigione ha fornito a molti dei presenti concetti e strumenti importanti, che potranno usare per migliorare la qualità della loro stessa vita.

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