Hai presente quando si crea l’empatia giusta con qualcuno? Ci si sente sulla stessa lunghezza d’onda e si capisce che, quel singolo incontro, reale o virtuale che sia, è l’inizio di qualcosa di più grande e di più bello.

Ecco, questo è quello che è successo a me quando ho conosciuto Francesca e la sua storia.

Il suo è stato un percorso incredibile di crescita e rinascita, caratterizzato da una grande consapevolezza: quella di avere una seconda opportunità, grazie al cancro al seno. 

Senza anticiparti nulla di più, ti lascio all’intervista che ho fatto a lei ed a Chiara, di Cibo Supersonico.
Le puoi trovare su Facebook, YouTube e su Instagram.

 

numero unoCiao Francesca! Innanzitutto grazie per aver accettato di rilasciare questa intervista.

Puoi parlarci un po’ di te, quali sono i tuoi hobby, le tue passioni, i valori e i principi in cui credi?

Potrei dirti che amo tantissimo la vita, amo fare in modo che tutto ciò che mi circonda si muova in armonia e che mi chiamo Francesca. Chissà, forse è anche per questo motivo che ho lasciato il mio luogo di origine a soli diciotto anni, rivoluzionando molto la mia vita.

Ho iniziato così a coltivare il seme della mia essenza, ho cominciato a crescere avendo sempre come punti di riferimento la musica, che amo moltissimo, la condivisione ed il cibo. Infatti il mio percorso mi ha portato a realizzare un progetto il cui nome “cibo supersonico” nasce proprio dall’idea di condividere non solo ricette sane, pratiche e veloci, ma anche di potersi raccontare, di condividere esperienze di vita mettendo il proprio vissuto a disposizione degli altri, e di condividere anche il valore della musica che frequentemente ci accompagna nel nostro cammino.

La musica emoziona, rilassa e avvicina, crea atmosfera; per questo è sempre presente durante gli incontri, le cene e le attività che organizzo. Quindi tra le mie passioni rientrano sicuramente il cibo, inteso come prendersi cura di sé, la musica, i viaggi, la condivisione, intesa come magia che si genera dall’unione di più persone.

E la mia attività mi permette di accomunare proprio tutto questo.

numero duePuoi raccontarci brevemente la storia della tua malattia e spiegarci come hai superato lo shock della diagnosi e lo stress successivo delle cure? Qual è l’elemento che ti è stato più di aiuto a livello mentale, fisico e spirituale?

L’anno scorso mi è stato diagnosticato un tumore al seno ed è stato un evento piombato nella mia vita come un fulmine a ciel sereno. È una malattia di cui non conoscevo nulla, o quanto meno sapevo che di tumore spesso si muore, a volte si guarisce, si hanno effetti collaterali per via delle cure, quali ad esempio la perdita dei capelli.

Sapevo però che un’alimentazione corretta era in grado non solo di aiutare ad affrontare i malesseri di una malattia e delle relative cure, ma addirittura di avere il potere di guarire un corpo affetto da una patologia così grave.

La diagnosi mi ha ovviamente destabilizzato, ma non sono riuscita a piangere, direi che sono state le persone care intorno a me a versare più lacrime.

Probabilmente all’inizio non mi sono resa conto di vivere questa situazione in prima persona, poi però, quando mi sono fermata a pensare che questa cosa stava capitando dentro il mio corpo e che la potevo sentire, perché percepivo questa specie di biglia dentro il mio seno sinistro, non solo al tatto, ma la sentivo anche pulsare e mi creava dolore, allora mi sono detta:

“questa è un’occasione incredibile in cui io devo impegnarmi al massimo per chiudere qualsiasi canale che convogli energia negativa o sbagliata verso di me, devo fare in modo di creare una capsula intorno a me di protezione del mio nucleo interiore”.

Io ero certa che sarebbe andato tutto bene, pur non conoscendo la chiave più adatta per poter risolvere la situazione. Sapevo che mi sarei affidata alle cure tradizionali, non avevo la forza di dire “no” alla chemioterapia, ma ero sicura che avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per accompagnare questo periodo riservato alla cura dedicandomi totalmente a me stessa, quindi adottando un’alimentazione “pulitissima”, avendo un’attenzione profonda ai rapporti con gli altri, e all’amore nei miei confronti.

Conoscevo già da molti anni i benefici dell’alimentazione plant-based e integrale e non è stato difficile autogestirmi in questa “avventura”.

Gratitudine e cuoreTra l’altro il tumore è arrivato quando avevo 28 anni, proprio nello stesso anno in cui anche a mia mamma è stata diagnosticata una patologia, non fisica; lei ha una sindrome schizzo-affettiva bipolare.

Da piccola la mia paura più grande era quella di ammalarmi della stessa patologia della mamma, quindi non di contrarre una malattia che andasse a colpire il corpo ma la mente. Se la mente non funziona correttamente, nulla può funzionare in modo adeguato.

Quando il corpo è malato, la mente si rivela in tutta la sua importanza perché il pensiero può dirigere il corpo verso la salute piuttosto che verso la malattia. Quindi aver avuto la diagnosi di malattia nello stesso anno in cui l’ha avuta anche mia mamma è stata per me più di una coincidenza a cui ho voluto dare peso.

Negli anni avevo dedicato molto di me alla mamma, agli equilibri familiari e alle persone che come lei erano affette da una patologia che, a mio avviso, richiedeva un bisogno estremo di amore, perché spesso queste persone hanno una profonda mancanza d’amore per sé stesse e contemporaneamente non ricevono né amore né accuratezza da chi vive loro accanto.


Per questo ho sempre cercato fin da piccola di rivolgere cure, attenzioni e amore a mia madre: ad esempio, cucinandole tutti i giorni un dolce diverso, cercando di sollevarle il morale in tutti i modi che un bambino potesse avere a disposizione; ho sempre saputo di avere una grande influenza sul suo umore, se io sorridevo sapevo che anche lei avrebbe ripreso il sorriso.

Tutto questo ha generato una responsabilità tale in me da non riuscire più a vedere quali fossero i miei bisogni. Il tumore mi ha messo in evidenza questa mancanza di attenzione e di amore verso me stessa.

Ho definito la malattia come un fulmine a ciel sereno, ma probabilmente, se avessi prestato più ascolto, mi sarei accorta che quel cielo in fondo non era poi così sereno. Non ho dato ascolto ad altri suoni dentro di me, ad altri messaggi.

Io sono stata sempre quella che prestava aiuto, quella forte, che ce la faceva sempre; questa volta no, andavo aiutata io.

E a quel punto ho deciso di farmi aiutare, mi sono tolta i veli di chi mostra sempre forza e ho chiesto aiuto.

Chiara in questo ha rivelato totalmente l’amore più puro, quello che non ho ritrovato in nessun altro quanto in Chiara; lei ha completamente rivoluzionato la sua vita, l’ho vista nei momenti di tensione, l’ho vista anche soffrire, ma mi ha sempre sostenuto, ha sempre voluto affrontare il problema insieme e accanto a me convinta che tutto si sarebbe concluso per il meglio.

Chiara avrebbe potuto scegliere un’altra strada, invece ha voluto esserci sempre, e con lei i suoi genitori! Io mi sono posta in una condizione di accoglienza del bene, mi sono lasciata andare, ho avuto la forza di dire “io ho bisogno di te”; non avevo mai fatto nulla di tutto ciò.

Avevo dimenticato che anche io avevo dei bisogni, che anche io avevo necessità di amore e di delicatezza. Non mi ascoltavo più da tempo o forse non mi ero mai ascoltata fino in fondo, forse anche per questo è arrivato il tumore. Per permettermi di tornare in ascolto.

numero treSpesso quando si riceve una diagnosi di tumore si tende a chiudersi in sé stessi, ad isolarsi nel proprio dolore, a volte addirittura ci si vergogna di raccontare ciò che ci sta accadendo. Quanto, per te, condividere la tua storia liberamente è stato importante?

Poter condividere la mia storia ha fatto una differenza enorme nel processo di guarigione.

Non avendo alcuna conoscenza della malattia, sono subito andata in cerca di racconti di donne che fossero uscite vittoriose dal tumore, sentivo il bisogno di avere qualche contatto diretto con ragazze che avevano già vissuto la mia stessa situazione, volevo sapere il più possibile di come avevano affrontato il problema.

Non è stato semplice, però nel momento in cui ho deciso di espormi, per esempio mostrando a tutti che avevo rasato i capelli, gli altri si sono avvicinati a me, chiedendomi cosa stesse succedendo, e quando parlavo loro della malattia, spesso mostravano la sensibilità di chi già l’aveva vissuta magari con dei familiari.

E da qui nascono gli scambi, le condivisioni di altre storie che mi hanno aiutato tantissimo.

A questo punto è stato direi automatico per me parlarne il più possibile ed è quello che ho fatto e quello che farò. Ho addirittura mostrato la mia cicatrice a molti miei amici proprio per far capire loro che una menomazione fisica non deve essere vista come un mostro che ti perseguita.

Almeno io non l’ho mai vissuta in questo senso. È la mia pelle, la mia storia.

Leggi anche la storia di Sara, guarita dal tumore al seno >

numero quattroA tal proposito vorrei porti un’altra domanda: una volta superata la malattia, recuperare la serenità, anche nella coppia, è un passo decisivo per tornare a vivere; certi tipi di tumore però, come quello al seno, lasciano un segno fisico importante, oltre che psicologico.

È stato difficile per te superare le cicatrici dell’intervento? La mastectomia ha messo in crisi il rapporto con il tuo corpo? 

Fin dall’inizio decisi che non avrei ricostruito il seno dopo la mastectomia. I medici mi proposero di fare tutti quei cicli di chemioterapia per ridurre il tumore, considerata la grandezza dello stesso, in modo tale poi da poter intervenire a livello chirurgico senza asportare totalmente la mammella.

È stato fatto un tentativo in questo senso ma poco prima dell’intervento ho deciso d’accordo con il mio chirurgo che l’avrei asportato totalmente.

Ho preso questa decisione con determinazione e fierezza, mi sentivo pronta ad affrontare questa prova che il destino mi aveva posto di fronte. Fin dall’inizio io sentivo che avrei perso totalmente il seno a tal punto che, durante i primi cicli di cure prima dell’intervento, ogni giorno sotto la doccia salutavo il mio seno; quel momento era diventato per me un momento di alta meditazione che mi ha aiutata tantissimo.

Accarezzavo il mio seno e rivolgendogli gratitudine e amore, gli porgevo un saluto. Sarei diventata una vera amazzone.

Il giorno seguente l’intervento, quando i medici sono passati per la medicazione, ho preso coraggio e ho voluto guardarmi e mi sono detta: “ok, è così, e non è così male”!

Da lì mi sono resa conto che avevo una grande opportunità: la possibilità di mostrare un corpo diverso da altri ma altrettanto bello!!

Ci sono tantissime donne di una bellezza straordinaria che posano con un solo seno! È un tabù l’idea della malattia, l’idea di doversi vedere sempre in assoluta forma e incredibilmente perfette! Eppure tutto questo esiste!

Ho pensato che quella sarebbe stata l’occasione per me per “raccontare” una bellezza di cui non si parla. È importante supportare tantissime altre donne che scelgono silenziosamente di non sottoporsi ad altri interventi che comunque non sono sempre facili da affrontare.

Queste donne sono tante, esistono e sono coraggiosissime. Questo è il motivo per cui ho detto “no grazie” alla ricostruzione.

numero cinqueRivolgo una domanda anche a te Chiara, in merito a questo argomento: affrontare questa difficoltà può aiutare a rimettersi in gioco come coppia, scoprendo magari una nuova intimità e anche una nuova coesione, più profonda di quella di prima?

Se non era una difficoltà per Francesca, non poteva esserlo nemmeno per me. Le ho sempre detto che per me sarebbe stata identica a prima, e così è stato.

È il dover cambiare per gli altri, e non per sé stessi, che a mio avviso, ti logora dentro. La nuova coesione non nasce da un cambiamento fisico, ma da tutto ciò che si è affrontato insieme.

Un percorso del genere o rafforza, o distrugge. Io sicuramente la amo più di prima.

Quanto l’amore e la vicinanza di Chiara, la tua compagna, hanno fatto la differenza nella tua guarigione?

Penso che tra tutti gli ingredienti che hanno fatto questo meraviglioso cocktail di guarigione, oltre alla fede incrollabile, la grandissima voglia di vivere, una corretta alimentazione, la qualità dei rapporti interpersonali, uno spirito alto, un enorme rispetto per sé stessi, l’amore sia l’ingrediente più potente di tutti.

E Chiara in questo è stata per me un angelo sceso direttamente dal cielo. Ritengo sia la personificazione dell’amore puro!

Un’altra domanda a Chiara: qual è il consiglio principale che ti senti di dare a chi vive al fianco di un malato di cancro?

Non mi sento una di quelle persone in grado di dare consigli. Prima di conoscere Francesca, ho sempre pensato che se mi fosse mai capitata una situazione del genere, non sarei mai stata in grado di sopportare un tale peso. Ci vedevo solo disperazione.

Francesca ha un dono speciale, quello di avere e dare tanta fiducia. Quindi l’unica cosa che mi sento di dire è: siate fiduciosi. E soprattutto, sappiate che ogni vostro gesto può fare la differenza.

Ad esempio ogni mattina preparavo a Francesca una spremuta che può sembrare una cosa banalissima, ma la riempivo di così tanto amore ed energia positiva che sono convinta che abbia fatto parte della guarigione. E così tante altre piccole cose che sommate, danno molto più del tutto.

Quindi Francesca, dalle tue parole deduco che definiresti la malattia come un’opportunità, intesa come un’occasione di rinascita.

Questa avventura non è stata una parentesi della mia vita, è la mia vita, è totalmente parte della mia vita! È stata una prova grandissima che ovviamente non si può augurare, o meglio si può augurare sotto altra forma.

D’altra parte il ciclo dell’esistenza è costellato di alti e bassi; nel mio caso ha previsto qualcosa di assolutamente inaspettato ma la vita è talmente creativa e incredibile che ti porta a dover affrontare certi tipi di prove per le quali non ci sono delle formule magiche, ma io mi sento di poter dire tranquillamente di essere stata benedetta.

Io dico “grazie” ogni giorno a chi mi ha permesso di vivere questa esperienza. Dico poi grazie ai miei angeli custodi.

Se ti chiedessi di definirmi secondo te cos’è la felicità, prima e dopo la malattia, cosa mi risponderesti?

Prima ti avrei risposto che la felicità era per me avere la mia parte destra uguale alla mia parte sinistra. Ora ti rispondo la stessa cosa.

Perché nonostante ci sia una mancanza fisica, io sono un tutt’uno, anzi ho realizzato un’unione ancora maggiore tra corpo, mente e anima.

Adesso mi sento felice perché so che con attenzione tutto il mio insieme è in armonia e in equilibrio.

L’esperienza che hai vissuto relativamente alla malattia ha cambiato il tuo modo di vivere la quotidianità, ha modificato le tue priorità o i tuoi atteggiamenti di fronte agli eventi della vita? Se si in che modo?

Nel momento in cui è suonato il campanello d’allarme portandomi il messaggio “prenditi cura di te” sono cambiate molte cose. Ora dedico più tempo a me stessa, senza sentirmi in colpa o sentirmi un’egoista, perché nel momento in cui io sto bene posso far star bene anche le persone che sono attorno a me.

Rivolgo anche molta attenzione al rapporto con gli altri, nel senso che mi pongo sempre in posizione di ascolto dell’altro e tengo molto che le altre persone si sentano messe a proprio agio e quindi nella condizione di potersi aprire e parlare.

Non possiamo mai sapere quali dolori portano dentro le persone, proviamo a porci in ascolto un po’ di più.

Hai un sogno nel cassetto ancora da realizzare?

Il sogno nel cassetto è far provare a quante più persone possibili, soprattutto a chi non se lo può permettere, il cibo lavorato e cucinato con amore. Quindi mi piacerebbe tantissimo cucinare per i bambini, per gli anziani che vivono negli ospizi, per le comunità e nelle strutture come quella in cui vive momentaneamente la mia mamma.

Grazie mille per l’intervista, ragazze!

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