Poco più di un anno fa, esattamente il 10 settembre 2017, si è tenuta la Conferenza “il Viaggio dell’Eroe” a Milano.
In quell’occasione ho raccontato la mia storia ma, soprattutto, sono salite sul palco tantissime testimonianze di persone che sono entrate nel cuore di chi era presente tra il pubblico.
In quella sala c’era anche Giulia.
Una Giulia inquieta, sofferente e piena di aspettative. Leggere la sua storia oggi mi ha davvero commossa.
Da quel 10 settembre, infatti, Giulia ha iniziato IL SUO viaggio dell’eroe, grazie alla sua forza di volontà ed alle persone che ha conosciuto quel giorno, dai ragazzi che hanno lavorato con me, a Claudio Pelizzeni che è intervenuto sul palco.
Da quel momento, Giulia ha preso una decisione importante per la sua vita, iniziando a circondarsi di persone speciali ed ottenendo, ben presto, grandi miglioramenti.
Ha così iniziato a vivere alla grande, prendendosi la responsabilità delle sue azioni.
E, detta fra noi, io ai miracoli non mi abituerò mai: ogni volta che sento o leggo queste storie incredibili, mi riempio il cuore di gioia e di bellissime emozioni, che mi danno la forza di cui ho bisogno per continuare a divulgare il mio messaggio, passando ancora una volta il favore.
Vi lascio alla storia di Giulia. Buona lettura!
-Vittoria-
Giulia e il Viaggio dell’Eroe: un anno dopo.
Ero stanca. Fatta di dolore e dolori. È stato un miracolo non precipitare dalle scale. Mi aggrappavo al corrimano e cercavo di ricordare cosa dovessi fare. Eppure nei minuti precedenti lo avevo capito.
Come potevo dimenticarlo così?
Come potevo sentire così tanto dolore? Perché il tempo per il riposo non bastava mai?
Poteva il dolore non attenuarsi neppure distesa a letto?
Come si dice quando si sta così? Mi fa male tutto! Chi mi crede?
“Non ho neanche trent’anni”, mi ripetevo, di rimando, ciò che mi sentivo dire da chiunque. Eppure avevo dolori sufficienti per desiderare di buttarmi a terra.
Avrei pagato per essere anestetizzata. Non avrei saputo, altrimenti, come riuscire a dormire ed a riposare. Ed ero stanca di spiegare.
Stavo così da dieci anni, e non mi sentiva nessuno.
Io per prima non mi ascoltavo, ma questo l’ho capito solo più tardi.
Avevo toccato il fondo. Sulle mie spalle, all’epoca, 27 anni di vita da digerire.
Dieci operazioni; non saprei contare le cicatrici e neppure i momenti in cui mi sono vergognata, nascosta, chiusa. Le volte in cui ho dovuto digerire prese in giro, commenti, accantonamenti.
Ero una bambina, non avevo i mezzi per guardarmi allo specchio e restare in piedi. Da lì nasce quella rabbia che con il tempo avrei coltivato come un meraviglioso orto. Mi accorgo di quanto sia letale dentro me; ma anche questa consapevolezza giunge solo in un secondo momento.
Mi nascondevo in taglie oversize, nonostante il mio fisico mi permetta il più attillato dei vestiti senza che facciano una grinza.
Ero spiccatamente brava a nascondere il cuore.
La vita, le difficoltà, le domande.
Nel pieno dell’adolescenza arrivò il diabete di tipo 1.
Una media di cinque iniezioni al giorno, una vita di calcoli precisi; un numero sbagliato equivale a stare male, a doversi fermare, a mettere in stand by una vita in cui comunque io non mi so fermare.
Un diabete vissuto con rabbia ha la meglio su ogni attimo: mi ruba il tempo, mi fa sentire ancora più incompresa.
“Ah ma quindi tu i dolci non li puoi mangiare?” Chiedetemi se sono arrabbiata.
La maggior parte delle persone che mi sono accanto vedono solo Giulia con le cicatrici e il diabete e la Fibromialgia.
“Ma io sono Giulia; Giulia e tanti bei sogni”, insisto dentro me.
E allora mi butto sui sogni, con l’autostima ben al di sotto delle suole. Mi ci butto perché devo dimostrare che sono Giulia e basta, che anche io posso.
Posso tutto, mi dico. Ma poi, un dubbio: tutto cosa?
Sono in balia del giudizio che mi sento addosso, e che in fondo, mi tengo stretto.
Sono una testona incredibile.
Realizzo ogni sogno, e sono anche soddisfatta; felice, però, mai.
Perché davanti allo specchio vedo una che non sopporto, brutta, molto brutta, e infelice, sempre scontenta. Ogni traguardo non è mai abbastanza.
Lavoro come una matta, senza sosta, e in silenzio. Subisco un anno di mobbing perché sono una donna, e se una donna è competente, di fronte ad un uomo piccolo e insoddisfatto della mancata escalation, è una minaccia.
Ancora non so che tipo di minaccia. Forse non lo capirò mai. Però la percepivo, e mi annientava sempre di più.
È una discesa continua ed inesorabile.
Io accumulo.
Raccolgo e tengo stretta dentro me una rabbia infinita. Questa diventa un groppo alla gola, che sembra volermi squarciare. Poi diventa dolore, dolore ovunque. Le mie ossa gridano tutto ciò che metto forzatamente a tacere. Ambizioni e paure.
So di essere, ma non so dove stare. Dov’è il mio posto?
Nel frattempo mia madre si ammala di cancro, il mio mondo crolla nella frazione di secondo in cui sento pronunciare la diagnosi.
Come è possibile rischiare di perdere l’unica al mondo, custode della parte più nascosta di me? Non è troppo? Perché a me? È vita questa?
Oltre al dolore si aggiungono gli attacchi di ansia, l’odore della disperazione, i capelli che cadono, il mio fisico tanto asciutto che mi nascondo ancora di più. Per curare i dolori accetto di assumere cortisone e immunosoppressori che, con l’insulina, fanno un mix letale che non mi aiuta, anzi, mi distrugge.
Peso 43 Kg, non ho la forza di stare in piedi, detesto il mio lavoro. E non so come uscirne.
La svolta: Martina e il primo accenno al Viaggio dell’Eroe
Ad un certo punto del percorso il destino mette Martina sui miei passi: una vita vissuta nello stesso quartiere, ma sempre poche parole. Io vivo a Londra, lei in Norvegia.
Mi intervista in merito al diabete, mi parla di una conferenza che si terrà a settembre:
“il Viaggio dell’Eroe”.
Conosco Martina da sempre, conosco il suo volto, ma non il suo cuore.
Ci troviamo, per affinità di percorso.
Ascolto la sua storia, apprezzo la sua sensibilità, un giorno perfino resto a bocca aperta.
“Giulia ma quanta rabbia hai?”
Ci rimango. Mi chiedo: “si vede così tanto?”.
Mi ha mossa quel sentimento inspiegabile che è la voglia di nascere di nuovo: devo aver visto uno spiraglio nelle sue parole, nella sua storia, in quell’eroe che non mi sentivo affatto ma volevo almeno provare ad imitare. Certo, stavolta ero pronta: pronta ad accogliermi per davvero.
Entro nella sala della conferenza e mi fa male tutto.
“Sei fuori dalla tua zona di comfort” dice Martina. “Grazie..” penso io, come incoraggiamento non male!
Poi, come sempre, capisco dopo che quel benedetto spazio è ora di abitarlo, altrimenti resto ferma e sinceramente sarei un po’ stanca di brancolare nel buio che mi sono creata.
La mia zona di comfort era il dolore perché lo conoscevo bene, e nella mia testa era decisamente meglio un dolore ben conosciuto che un amore sconosciuto.
Non per niente stavo meglio cento metri prima, sotto casa dell’uomo che ho amato troppo e che mi aveva appena buttata via come carta straccia.
La conferenza è un insieme di storie e di testimonianze di coraggio, di rinascita, di consapevolezza, impegno, amore, talento, sogni, azione.
Ne esco stravolta.
E mentre rientro a casa, sotto la pioggia, per la prima volta mi racconto la mia storia, così come ora la sto scrivendo.
L’inizio del cammino: cosa significa partire per il Viaggio dell’Eroe
Due giorni dopo la Conferenza butto il cortisone e gli immunosoppressori; con il passare dei mesi riprendo il mio peso e ricomincio a guardarmi allo specchio.
Mi crescono persino i capelli, e ho qualche vestito aderente nell’armadio.
Un mese dopo comincio a vedere il mio dolore diminuire.
Mi sono messa al centro, non del mondo, ma di me stessa.
Mi ascolto: riesco a sentire la mia voce mentre parlo di paura e allora la trasformo in coraggio. Smetto di reagire, inizio ad agire; e qui, la rabbia, pian piano se ne va. Quando la sento, la gestisco, la digerisco, e lei fluisce e se ne va.
A dicembre lascio il mio lavoro rifiutando una proroga.
Conosco il limite, mi voglio bene. Mi rispetto. Capisco che non sempre tenere duro ci porta ad essere più forti. Io mi stavo annientando. Esco dall’ufficio che quasi farei un brindisi.
La fibromialgia è il dono di chi non sa ascoltarsi. È cruenta, come negarlo! Mi ha portata ad un millimetro dal nulla. Dovevo scegliere. Ho ascoltato me.
Leggi anche: quale strada scegli per uscire dalla sofferenza della Fibromialgia? >
Ascoltarsi è qualcosa di diverso dalle cose semplici. Richiede una pazienza infinita, un impegno costante a lasciar andare. Ho lasciato andare me stessa, per prima.
Sono leggera, e mi concedo alla fragilità. E sono forte, quando lo faccio.
Mi sento nel posto giusto all’interno della sala della conferenza. Anche il dolore è al suo posto; lui c’è sempre, anche nelle cose nuove e in quelle belle.
È lì per dirci: “guarda che ce la stai facendo!”.
Nel mentre capisco la cosa più importante: voglio agire volendomi del bene, e smettere di reagire a tutto ciò che mi travolge. Non apprezzare ciò che siamo ci porta ad una debolezza per cui ogni evento ha il potere di trascinarci via.
La lunga strada del viaggio, con una meta bellissima
Io basta. Io volevo scegliere; cosa voglio e soprattutto cosa buttare via. Ero pronta a sfrattare ¾ di me dal cuore, pronta a sentire il vuoto consapevole, pronta a riempirlo per mano mia.
Ho buttato via Giulia impaurita, Giulia arrabbiata, Giulia che mette amore in un campo minato convinta che la sua dedizione le riporterà il triplo dell’amore, almeno finché non viene malamente rimpiazzata e si accorge che non è proprio così, e si arrabbia!
Ho regalato i maglioni troppo larghi e non mi era rimasto quasi più nulla da mettermi. Infine, ho azzerato l’aspettativa, che non significa fregarsene dei sentimenti, ma piuttosto essere ben consapevoli di cosa vogliamo e di chi può o non può soddisfare il nostro desiderio.
Il tempo ce l’ho, ma ne sono così gelosa che scelgo come e con chi impiegarlo.
Ho parecchia energia, e so bene dove non sprecarla.
Gli specchi in casa li uso per dirmi: “sei bella!”.
Ho tempo libero da non riempire con nessuno perché io sono più che abbastanza.
E svariate volte mi sono presa dell’egoista; perché sappiatelo, non tutti saranno al vostro fianco nel percorso. Molti vi vedranno cambiare e non lo accetteranno; è una storia di aspettativa. Lasciate che sia, lasciate andare. Siate gelosi del vostro tempo. Prendetene quello che vi serve, per dormire, o per ballare.
Ho percorso tanta strada da riuscire a guardare in faccia il cancro, da vederci dentro tanta vita: gli occhi di una madre che mutano nella forma mentre l’amore, come un miracolo, si fa più grande.
Ho scelto di raccontarmi, e raccontarlo, perché dove trovi amore devi annusarne con forza il profumo, e poi dirlo a tutti.
Perché se anche solo uno tra un milione può trarre beneficio da una testimonianza positiva, se la gioia può contagiare, allora perché tacere?
Adesso racconto, e parlo con moltissime persone del mio viaggio
C’è in ballo la vita, e allora io continuo a raccontare.
Il viaggio dell’Eroe è stato questo: la chiave di volta, la ripartenza, un altro “via” davanti al quale non ripartire sarebbe stato decisamente sciocco.
Una sfilza di esempi, di storie, di energia travolgenti, da cui nasce quell’istinto a ripartire, quell’invidia positiva che è motore del cuore.
Una strada donata, che ho voluto cogliere.
Quel “Via!” che se lo senti tuo non te lo lasci scappare. Nascere due volte, è meraviglioso.
Vasco cantava <<indietro non si torna, non si può cadere più>>.
Io indietro non torno, osservo il mio ieri con consapevolezza, e persino dolcezza, e mi perdono, mi faccio il dono di accettare quella Giulia che mi ha portata qui. E, se cadrò, un po’ sorriderò, con la certezza di volermi rialzare.
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Sono sempre io, e tutta un’altra. Quando posso, come sempre, corro al mare, ma ora so con chi partire.
Ho dentro tanto amore, lo stringo e poi lo dono.
Il 10 settembre 2018, esattamente un anno dopo “il Viaggio dell’Eroe”, decido che ci vuole un progetto un po’ più serio per donare questo amore come vorrei, così a giugno 2019 inizierò un percorso di crescita personale con LUCE (Libera Università di Crescita Evolutiva).
Non mi è concesso conoscere oltre, bastano la gioia e il brivido del grande SI che ho pronunciato quando ho riconosciuto la mia strada. E quel silenzio beatamente abitabile in cui riposo leggera.
E quell’amore che ormai è in circolo e che non intendo fermare, e le persone che ho scelto: l’energia che fa vibrare il cuore.
“Siamo fatti per amare”, solo che dimentichiamo di mettere noi stessi in cima alla lista.
Dalla cima della lista, io sono felice.
Cosa farò dopo la scuola?
Me lo dirà probabilmente un’altra congiunzione astrale.
❤️❤️❤️❤️❤️❤️❤️
Ringrazio Giulia per questa testimonianza. Come dicevo all’inizio dell’articolo non saranno mai abbastanza i miracoli che sono fortunata ad ascoltare o leggere attraverso queste lettere.
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