Quanto conta l’empatia, la presenza e l’umanità nella relazione tra il medico e il paziente? In questo nuovo articolo Elsa Veniani ci espone un tema delicato ma quanto mai attuale: la perdita progressiva del rapporto umano tra il paziente e il medico.
Questo distacco è stato reso ancora più accentuato a causa della pandemia, che ha portato progressivamente ad allontanare sempre di più le persone tra loro.
Come possiamo ripristinarlo e perché è tanto importante? Qual è il vero ruolo del paziente nel suo percorso di guarigione? Vi lascio alle parole di Elsa.
<<Credo che quando la vita ti riserva un dono particolarmente grande, sia inevitabile volerlo condividere; ed è proprio questo l’intento del mio nuovo libro “Relazione medico-paziente, curarsi è una scelta”.
A seguito della diagnosi di Fibromialgia, ho avuto l’immenso privilegio di essere affiancata da due donne, professioniste straordinarie: la Dottoressa Erica Francesca Poli, psichiatra, psicoterapeuta e counselor, e Vittoria Diamanti, Life Coach ed esperta di crescita personale.
Se dovessi raccontare la mia relazione con loro non potrei che definirla come una danza di Anime sul palcoscenico della vita, immersa in una potentissima energia d’Amore.
Potrebbe sembrare una definizione poetica e per nulla concreta ai fini della guarigione della malattia, che in fondo è quello che il paziente cerca e desidera, vale a dire sconfiggere la patologia da cui è affetto.
Ma in effetti l’intento che ha mosso la scrittura di questo nuovo testo è proprio quello di offrire una prospettiva completamente diversa rispetto al senso della cura.
Ritengo che la medicina attuale, almeno relativamente a quella che ho modo di sperimentare nel mondo occidentale in cui vivo, sia diventata talmente specializzata e settorializzata da aver completamente perso la visione d’insieme dell’Essere Umano.
L’approccio moderno alla malattia e al processo di cura
Quando abbiamo un problema fisico, ci limitiamo ad affidare al medico il nostro corpo, esattamente come quando portiamo l’auto dal meccanico affinchè ripari un guasto.
E se il “danno” non è risolvibile, il medico diviene una figura impotente che può limitarsi solo ad applicare quella che viene definita come “terapia del dolore”, con il solo scopo di accompagnare il paziente alla morte alleviando il più possibile la sofferenza che il corpo rimanda.
Aggiungo a queste mie parole un’altra amara riflessione: dopo due anni di pandemia credo che tra medico e paziente non sussista più alcun tipo di relazione.
Oramai ci limitiamo a comunicare con il nostro Dottore tramite mail o con sistemi applicativi dal nostro cellulare, perdendo così ogni sorta di contatto umano che ritengo imprescindibile in una relazione di cura che si possa definire tale.
La domanda che mi sorge spontanea, soprattutto dopo l’esperienza che ho vissuto, è: dov’è l’Anima in tutto questo processo? Perché non viene minimamente presa in considerazione?
Che fine ha fatto l’unicità della persona fra i mille protocolli standardizzati che la medicina ha creato?
Come siamo arrivati a un’anestesia del sentire così profonda da aver persino dimenticato l’importanza fondamentale del contatto umano, della vicinanza emotiva, del senso della presenza al dolore altrui e dell’intima interazione con il paziente?
Eppure sono testimone di quanto siano proprio quelli che ho appena citato gli ingredienti fondamentali che restituiscono il senso della malattia, che non sta nel volerla debellare a tutti i costi, bensì nell’affrontare un cammino che va al di là della patologia stessa e che, proprio per questo, richiede necessariamente un supporto emotivo e spirituale, senza il quale non può esistere una cura, nell’accezione in cui ne sto parlando.
Perché serve anche il supporto emotivo e spirituale?
Tutte queste riflessioni mi hanno spinta ad indagare, attraverso le pagine del mio libro, quale fosse il senso della cura e della malattia in quelle popolazioni che definiamo “primitive”, ma che in realtà sono custodi di una profonda saggezza che è arrivato davvero il tempo di recuperare e integrare con la nostra “modernità”.
Tutti le tradizioni di questi popoli, dai nativi americani alla medicina tradizionale cinese, dall’Ayurveda alla medicina siberiana, dallo sciamanesimo all’animismo della cultura africana, hanno un punto che li accomuna in maniera evidente: il concetto di malattia non si riferisce solo alla sfera fisica e organica ma è profondamente connesso alla sfera mente-emozione-spirito-esperienza del paziente.
L’intento che quindi muove quelli che vengono definiti come “uomini medicina” è quello di infondere fiducia nel malato, aiutandolo a trovare i propri punti di forza sui quali fare leva per manifestare la propria unicità, regalandogli quella consapevolezza che gli consenta di prendere in mano la propria salute e il proprio destino.
Il percorso di cura viene costruito insieme al paziente, nel rispetto completo e totale del suo sentire, senza mai utilizzare mezzi coercitivi che lo obblighino a seguire un determinato piano terapeutico.
Il senso della malattia come viaggio che si è chiamati a intraprendere si ritrova persino quando la patologia da cui si è affetti non ha più possibilità di cura; in questo caso il “guaritore” accompagnerà comunque il malato in un percorso di vita che gli permetta di riscoprire la bellezza e lo scopo della propria esistenza, aiutandolo ad avvicinarsi al Creatore in modo consapevole.
La morte vissuta quindi come processo, come passaggio e non come fine vita.
Capite bene quale patrimonio immenso abbiamo perso nel corso dei secoli, arrivando a trasformare la medicina da un’arte al servizio del compimento dell’Anima umana, a un’imponente officina specializzata di riparazione del corpo umano.
Erica e Vittoria hanno saputo incarnare nel mio processo di cura sia la saggezza di quelle tradizioni, sia la conoscenza scientifica della nostra modernità, nel rispetto assoluto del mio sentire, presenziando al mio dolore e con l’intento di accompagnarmi a manifestare la mia unicità.
E io non posso che essere testimone della potenza del loro agire a tal punto da voler scrivere un libro per sollecitare e promuovere questo tipo di visione del senso della cura.
Ritengo che noi pazienti abbiamo un ruolo fondamentale nel favorire questo radicale cambio di prospettiva perché possiamo aiutare i medici a comprendere l’importanza di prendersi cura della persona nella sua totalità, unicità e interezza, attivando un processo che possa vedere realizzata un’integrazione dei saperi al servizio del benessere dell’Essere Umano.
È stata proprio l’importanza del contatto umano a spingermi a organizzare un evento per la presentazione dei miei due libri che si terrà il 03 settembre 2022, alle ore 16.00, a Valmadrera (Lc), presso il Centro Culturale Fatebenefratelli, in Via Fatebenefratelli n. 6, con ingresso libero.
Vi aspetto a braccia aperte e con il cuore colmo di emozione!>>
Se desideri saperne di più sull’evento che si terrà il 3 Settembre puoi cliccare qui o sulla foto qui sotto e inviare un messaggio ad Elsa direttamente su Facebook.
Se invece desideri acquistare il libro di Elsa “Relazione medico-paziente, curarsi è una scelta” lo trovi su Amazon a questo link, CLICCA QUI.
Fatto
Acquistato
Arrivo previsto mercoledì 7 Settembre
Grazie